Titolo
Via Crucis
Soggetto
Via Crucis
Autore
Cipolla, Salvatore (1933)
-
analisi stilistica
Tipo oggetto
Rilievi
,
via crucis
,
ciclo
Date
terzo quarto sec. XX
Serie
Materiali
Misure (cm./gr.)
Argilla e gres, dimensioni varie. Acquisto, 1972. Inv. nn. 0157500-527 (Galleria).
Come molti altri artisti che frequentarono la Cittadella, Cipolla ebbe il primo approccio con l’arte nella bottega del padre ceramista e approfondì gli studi presso la scuola di ceramica e scultura di Comiso. Nel 1949, giovanissimo, si trasferì a Firenze dove completò la propria formazione all’Accademia di Belle Arti. Si dedicò all’insegnamento, ma non mancò di partecipare a numerose mostre nazionali e internazionali. La Via Crucis affonda la ragione della propria creazione nell’enciclica Populorum progressio – promulgata da Paolo VI nel 1967 – in cui il pontefice denunciava la gravità delle condizioni di vita di tanti paesi in via di sviluppo. Le tematiche affrontate nel messaggio del papa vennero approfondite dalla Pro Civitate Christiana attraverso la mostra fotografica Lazzaro alla nostra porta che nacque in Cittadella e giunse fino a Sesto Fiorentino. L’importante rassegna fotografica e l’interesse che venne dimostrato dal clero locale offrirono la possibilità a Cipolla di misurarsi con una Via Crucis destinata alla nuova chiesa della cittadina toscana. L’opera venne presentata nel 1969 ma, giudicata iconograficamente inaccettabile dalla Commissione di Arte Sacra, venne rifiutata e acquistata nel 1972 dalla Pro Civitate Christiana. A simulare l’ascesa al monte Calvario, le 27 sculture sono installate, come volle l’artista, lungo il muro delle scale, e impongono una lettura che procede da destra verso sinistra. Le 14 stazioni ricalcano la tradizionale suddivisione dell’estremo cammino di Cristo verso la Crocifissione ma diventano un manifesto contemporaneo di accusa nei confronti della prevaricazione dell’uomo sull’uomo e delle disuguaglianze che questa crea nel mondo. Con la scena della condanna a morte di Gesù è posta in risalto la distanza tra il mondo sottosviluppato e quello “ricco” che osserva con indifferenza le afflizioni dei bambini africani. Ha così principio una teoria di teschi urlanti e corpi straziati di un’umanità pervasa dalla violenza che vive la sofferenza non solo nel ricordo della tragica esperienza terrena di Gesù, ma soprattutto in un presente segnato dall’angoscia delle divisioni e dei conflitti sociali. Attraverso le sue sculture Cipolla vuole risvegliare l’uomo anestetizzato, immobile sulla poltrona davanti ad una televisione che ripete ogni giorno le stesse immagini di morte che non riescono più a fare effetto su una mente intorpidita. Il culmine della violenza è raggiunto nella scena della Crocifissione dove il carnefice leva in alto il martello per sferrare l’ultimo colpo al Cristo morente. Solamente nell’ultima stazione traspare il messaggio salvifico del sacrificio del Figlio di Dio: la scena rimane infatti sospesa tra la Sepoltura e il Battesimo e si è portati a sovrapporre la calata del cadavere nel sepolcro con l’uscita dal fonte battesimale di un nuovo cristiano. Si chiarifica così il significato del percorso della Via Crucis: come in una sorta di catarsi religiosa, il fedele, che nella prima stazione condanna il più debole, al termine del cammino riscopre il Cristo morto e risorto che offre la nuova speranza – cristiana – di un mondo di solidarietà e salvezza. Pur vivendo di un espressionismo estremo, a tratti raccapricciante, che si esplicita sia nelle deformità, sia nella superficie liscia, brillante, quasi viscida, delle sculture, Cipolla non trascura i riferimenti alla storia dell’arte italiana, come nello strazio dei volti sofferenti che sembrano derivare da un Giudizio universale o da una Strage degli innocenti tramandataci dal Medioevo. [F.L.G.]
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