Il "Cristo Lavoratore"
Il tema del “Cristo Lavoratore” fu elaborato sul finire degli anni Quaranta da don Giovanni Rossi insieme a monsignor Giovanni Fallani, i quali, avvalendosi delle risorse economiche messe a disposizione dagli stessi industriali che sostenevano la pubblicazione de "Il Regno", intendevano proporlo agli artisti. Il più solerte sostenitore di questa iniziativa fu il barone Francesco Mario Oddasso, direttore generale della CISA Viscosa, a cui Don Giovanni sulle pagine de "La Rocca", ricordandone la visita in Cittadella, l'ideazione dell'inconsueto tema iconografico: “Oddasso è venuto ad Assisi - scrisse don Giovanni -, ha visitato la nostra sede e soffermandosi a guardare la copiosa iconografia cristiana del nostro Osservatorio mi ha chiesto: 'Come mai vi sono tante opere d'arte che rappresentano Gesù nell'infanzia e nella sua vita pubblica e non ce ne sono che lo rappresentino quando, dopo la morte di San Giuseppe, vive laborioso artigiano nella bottega di Nazareth vicino a Maria? Oggi in cui tanto si esalta il lavoratore, sarebbe pur necessario che Gesù operaio comparisse nell'arte ad esaltare la bellezza e la grandezza del lavoro'. Poi mi soggiunse: ‘Senta, don Giovanni, io sono pronto a mettere a disposizione una somma per alcuni premi. Lei inviti gli artisti italiani; prepari un bando e mi faccia sapere quanto occorre per questo concorso artistico”. L'idea del facoltoso e munifico industriale era quella di ottenere opere atte a diffondere il culto, ma soprattutto l'esempio, del Divino operaio tra la massa dei lavoratori, per indicare un modello culturale, ideologico e comportamentale diverso da quello propagandato dall'ideologia marxista.
Gesù divino lavoratore si configura, pertanto, come un'operazione di chiara politica sociale, finalizzata alla "bonifica cristiana delle masse operaie"', per contrapporre all'interpretazione materialistico-marxista della società e della storia la devozione verso colui che con l'esempio ha redento la fatica umana liberandola dalla condizione di castigo biblico.
Nel 1951, tra i primi artisti ad essere chiamati a misurarsi con il tema di Gesù operaio, troviamo - al fianco di de Chirico e Oppo - gli scultori Pericle Fazzini e Giovanni Prini. Quest'ultimo, vicino a don Giovanni Rossi fin dagli anni milanesi, sceglieva di rappresentare la figura di Cristo in atteggiamento sospeso e meditativo, "senza ricorrere al verismo della narrazione o alla retorica dei gesti", essenzializzando gli elementi descrittivi e di contestualizzazione che spesso caratterizzano questa iconografia. Pericle Fazzini, al contrario, costruiva nel modello del suo Gesù operaio una struttura ritmica complessa ed espressionisticamente energica: "Lo strumento cruciforme, il corpo del Cristo che idealmente invoca e ripete nella massa plastica la Croce, formano un discorso serrato, condotto alla sua conclusione senza interruzioni o svaghi di carattere letterario”.
Tra le acquisizioni di opere di scultura avvenute in corrispondenza delle mostre della Pro Civitate, negli anni successivi, si segnalano quelle di Angelo Biancini, di Antonio Biggi, di Venanzo Crocetti (con una personale alla Cittadella, nella quale figuravano la Deposizione, il rilievo della Grande Pietà e il Crocifisso in gesso"), di Tullio Figini e di Eros Pellini nel 1954 (quando Floriano Bodini otteneva un terzo premio presentandosi con un dipinto al concorso sul tema Cristo nella casa di Nazareth accanto a Maria sua Madre e a san Giuseppe): quelle di Biancini, di Francesco Nagni, di Carlo Paganini, di Giuseppe Fotunato Pirrone e di Romano Vio nel 1955: di Ettore Calvelli, di Alfio Castelli, di Giordano Crestani, di Attilio Torresini e ancora di Giovanni Prini nel 1956; di Enzo Assenza, Artemio Giovagnoni, Giovanni Meloni, Publio Morbiducci, Francesco Prosperi e Antonio Ranocchia nel 1957, di Antonio Berti, Ugo Lucerni e Alessandro Monteleone nel 1058.
Nel 1959 si misuravano col tema del Divino lavoratore Virginio Ciminaghi, Giovagnoni, Jozsef Gudics e Raoul Vistoli. Dopo le mostre di Rouault e di William Congdon, nel 1962 Giovanni Meloni presentava con successo al concorso la sua Guarigione del cieco (ispirata al tema del Gesù medico, al quale era stata riservata una mostra specifica l'anno precedente), mentre Raoul Vistoli allestiva la propria personale e Romano Vio inaugurava il medaglione con il ritratto di Papa Giovanni XXIII nell'Auditorium. Seguivano nel 1963 la ricca personale di Floriano Bodini - con dieci opere grafiche e quattordici sculture tra le quali l'affollato e drammatico gruppo di Papa Giovanni e i cardinali, acquistato dalla Pro Civitate - e nel 1965 e 1966 le personali di Biancini e di Ciminaghi.
Il 1956 segnò un momento decisivo per la diffusione mediatica del soggetto iconografico e per la devozione verso il Divino lavoratore. La Chiesa per la prima volta celebrò il 1° maggio e i lavoratori cattolici iscritti alle ACLI organizzarono un imponente raduno internazionale a Milano. A piazza Duomo, alla presenza dell'allora presidente del Consiglio dei Ministri onorevole Antonio Segni, dopo aver ascoltato in radiodiffusione il messaggio rivolto loro da Pio XII, gli aclisti fecero benedire dall'arcivescovo Montini (futuro Paolo VI) la statua del Gesù divino lavoratore: un'opera di Enrico Nell Breuning che vollero inviare in dono al Santo Padre (fig. 2). La scultura venne prelevata in piazza Duomo da un elicottero e dopo aver sorvolato la città - "capitale della operosa Lombardia, cuore pulsante del lavoro italiano " - fu portata all'aeroporto di Linate, quindi spedita a Roma e una volta giunta a Ciampino fu di nuovo caricata su un elicottero e trasferita in Vaticano, dove fu esposta alla venerazione dei fedeli in piazza San Pietro e poi collocata per alcuni mesi nel Cortile di San Damaso. In seguito il Pontefice la destinò all'erigenda chiesa romana intitolata al Gesù Divino Lavoratore. L'evento catalizzò l'attenzione dei media e l'immagine del Divino lavoratore fu trasmessa dalla televisione nazionale, fu riprodotta sulle prime pagine dei quotidiani e anche su due numeri della rivista Rocca.
Nel 1958 l'Istituto Beato Angelico di Roma tornò ad occuparsi del Gesù divino lavoratore e cercando di alimentare ulteriormente l'interesse verso tale soggetto pubblicò il bando per il Primo premio nazionale Gesù lavoratore per opere di pittura e bianco e nero: un concorso che non era indirizzato agli artisti, ma riservato ai dilettanti e in special modo agli operai delle maggiori fabbriche italiane.
Nonostante le iniziative che ebbero luogo al di fuori della Cittadella, è indubbio che il "progetto" Gesù divino lavoratore si sviluppò ottenendo il consenso dell'opinione pubblica e un'ampia partecipazione di intellettuali, artisti e industriali soprattutto per merito della Pro Civitate Christiana. All'inizio degli anni Sessanta l'Osservatorio cercò di sviluppare ulteriormente l'iconografia del Divino lavoratore articolando il soggetto nei temi del Gesù medico e Gesù maestro, "per indicare l'inserimento del Cristo nella vita umana in ogni suo aspetto e in tutta la sua completezza". Ciò nonostante nel 1962 la mostra Gesù lavoratore, maestro e medico, segnò il termine sia dei concorsi sia delle commissioni. Del resto una considerevole quantità di opere scultoree e pittoriche, sistemate nelle sale della Galleria d'arte dell'Osservatorio, documentavano ampiamente l'iconografia del Cristo lavoratore, tanto che la Pro Civitate divenne un punto di riferimento per chi aveva bisogno di conoscere o affrontare simile soggetto. A don Giovanni, come al barone Oddasso, si rivolgevano soprattutto i parroci delle chiese intitolate al Divino lavoratore che necessitavano di immagini per il culto. A tal riguardo il barone si fece inviare le fotografie delle opere conservate in Cittadella "per mostrare a chiunque ne faccia richiesta come gli artisti abbiano interpretato l'ideale cristiano del lavoro" e in una lettera del 6 ottobre 1962 scriveva a don Rossi: "ieri ho avuto la fortuna di parlare con il cardinal Montini, il quale disse che presto sorgerà a Milano una chiesa dedicata a Gesù Lavoratore. Allo scopo di avere un'idea delle raffigurazioni che potessero essere collocate nella chiesa alla devozione dei fedeli, il Cardinale mi ha detto che le chiederà le foto dei lavori che nel corso degli anni abbiamo provocato dai vari artisti sul soggetto del Gesù Lavoratore".
Nel 1967, la Pro Civitate Christiana, nell'intento di promuovere un'arte autenticamente espressiva della presenza di Cristo nell'uomo e nel mondo di oggi, bandì un concorso nazionale per opere di scultura e di pittura sul tema "Cristo nella civiltà delle macchine." Con questa iniziativa, Osservatorio tentò - purtroppo invano - di rilanciare l'operazione Gesù divino lavoratore "lasciando agli artisti la massima libertà nel concepire e concretare il tema proposto".
Il concorso non ebbe seguito, ma in altri contesti gli artisti continuarono a raffigurare Gesù divino lavoratore: lo fecero, ad esempio, Enrico Manfrini nella medaglia commissionatagli dalle ACLI nel ventesimo anno dalla loro fondazione (1964) ed Eros Pellini nel 1966 sul recto della medaglia coniata durante il pontificato di Paolo VI per il settantacinquesimo anniversario della pubblicazione della Rerum Novarum, ma anche tutti gli autori delle pale d'altare e delle statue destinate alle chiese del Gesù divino lavoratore che nel corso degli anni sono state costruite in Italia e in altre parti del mondo.