Titolo
Gesù divino lavoratore
Soggetto
Gesù divino lavoratore
Autore
Carrà, Carlo (1881/1966)
-
firma
Tipo oggetto
dipinto
Date
terzo quarto sec. XX
1953
data
Serie
Materiali
olio su tela
Misure (cm./gr.)
Altezza:
50 Larghezza:
60
La figura del Cristo Lavoratore che, sul banco da falegname di San Giuseppe, liscia non il legno ma la pergamena esplicita il suo ruolo di portatore della parola del Padre Celeste nel mondo.
Olio su tela, 50,5 x 60 cm. Firmato e datato in alto a destra “C. Carrà 953”. Acquisto, 1952. Esposizioni: Mostra d’arte Gesù divino lavoratore, Assisi 1953; Mostra d’arte Gesù divino lavoratore, Assisi 1954; Personali d’Arte Cristiana. Carlo Carrà, Assisi 1958; Gesù nell’arte contemporanea, Ferrara 1964. Inv. n. 0154500 (Galleria).
La commissione per l’esecuzione di un dipinto sul tema del Gesù divino lavoratore arrivò a Carlo Carrà nel dicembre 1952, anche se i rapporti epistolari fra lui e don Giovanni Rossi risalivano già a qualche anno prima. L’artista terminò l’opera nel luglio 1953 e la spedì ad Assisi in tempo per la mostra d’arte del Corso di studi cristiani che si doveva tenere a fine agosto. Come la maggior parte delle opere sul nuovo soggetto iconografico però, il dipinto fu esposto anche negli anni successivi, nella mostra tematica sul “Cristo operaio”, e Carrà stesso richiese che fosse presentata ancora nell’esposizione personale che tenne presso la Cittadella nel 1958. Le dimensioni del quadro, come risulta dalla corrispondenza dell’artista (18 dicembre 1952), avrebbero dovuto essere maggiori: 70 x 90 cm, un formato prediletto da Carrà, che alla fine invece optò per una tela di grandezza più contenuta. Il soggetto venne svolto partendo dall’immagine di Cristo e dei genitori all’interno di una stanza, mentre la madre e il padre guardano il figlio lavorare e sembrano in ascolto delle sue parole. L’interpretazione del lavoro di Gesù è quanto mai simbolica: Carrà non lo raffigurò intento ai compiti di falegnameria, ma nell’atto di lisciare una pergamena; quasi un’anticipazione del tema del “Cristo maestro” (dato che la pergamena può essere letta come la parola di Dio) che verrà ammesso successivamente, come soggetto alternativo a quello del “Cristo operaio”, nella presentazione delle opere su invito. Oltre al dipinto fu richiesto a Carrà di scrivere un breve testo da pubblicare su “La Rocca” (1° settembre 1953) riguardante il suo approccio e le sue impressioni sul nuovo tema iconografico. L’artista affermò la propria esigenza di operare sulla tela senza l’impiego di soluzioni volte a far colpo sull’osservatore (rivendicando quindi la scelta di compostezza espressiva e le semplificazioni formali del periodo), e data la complessità del soggetto, scrisse di aver cercato di lavorarci lasciando “al proprio sentimento tutta la libertà operativa” richiesta dal fatto di doversi affidare non a modelli ma alla propria immaginazione, in modo da ottenere un risultato soprattutto poetico. Nell’articolo Carrà si soffermò anche sulle scelte compiute per la composizione, che rivelano come la semplificazione e il primitivismo del dipinto poggino in realtà su una solida e rigorosa applicazione di norme classiche della pittura; infatti egli trovò necessario “porre le tre figure su una lieve inclinazione diagonale onde far convergere lo sguardo dell’osservatore sulla immagine di Gesù intento al lavoro”. Soluzioni la cui raffinatezza non sfuggì ai commentatori contemporanei, come Donati (1953, pp. 12-13), che altresì rimarcarono la particolare gamma cromatica impiegata come elemento cardine di quell’apparente semplicità. Da un lato dunque, Carrà rimeditò equilibri classici e modelli antichi, come nella figura della Vergine seduta; dall’altro, abbracciò pienamente quel realismo piano, venato di componenti primitiviste, che si esplica in un ritorno a forme toscane tre-quattrocentesche, che sposano però colori tenerissimi giocati sui toni del grigio, dell’azzurro e sulle varianti del bianco, i quali rimandano ancora nelle loro intersezioni di stesura alla matrice lombardo-ottocentesca della pittura di Carrà. Un’esaltazione dell’essenzialità delle forme che non è però improntata ad asciuttezza e rigore ma si anima di una vena di dolcezza ed elegia. Fonti e bibliografia: Pro Civitate Christiana, Archivio Artisti, b. Carteggio Carrà Carlo, lettera del 18 dicembre 1952; Rossi 1953, p. 2; Carrà 1953, pp. 12-13; Donati 1953, pp. 12-13; Gesù lavoratore 1956, p. 10; Bruzzichelli 1961c, p. 40; Bruzzichelli 1962b, p. 41; Catalogo Galleria 1964, tav. VII, n. 97; Bruzzichelli 1966a, p. 57; Carrà 1968, pp. 111, 573. [S.V.]
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