Titolo
Gesù divino lavoratore
Soggetto
Gesù divino lavoratore
Autore
Carena, Felice (1879/1966)
-
analisi stilistica
Tipo oggetto
dipinto
Date
terzo quarto sec. XX
1953
documentazione
Serie
Materiali
olio su tela
Misure (cm./gr.)
Altezza:
151 Larghezza:
75
Olio su tela, 151 x 75 cm. Acquisto, 1953. Esposizioni: Gesù divino lavoratore nella interpretazione di venti artisti contemporanei, Assisi 1953; Mostra d’arte Gesù divino lavoratore, Assisi 1954. Inv. n. 0137400 (Galleria).
Nei primi mesi del 1953 don Giovanni Rossi viaggiando attraverso l’Italia incontrò diversi scultori e pittori, in prevalenza professori o direttori delle principali Accademie di belle arti, per affidargli l’esecuzione di opere sul tema del Gesù divino lavoratore. Giunto a Venezia interpellò Felice Carena, il quale, animato da un profondo per quanto tormentato spirito religioso, accettò senza esitazione l’incarico e nel mese di luglio spedì alla Cittadella il suo dipinto accompagnandolo con una lunga lettera, oggi conservata presso l’Archivio della Galleria d’arte contemporanea, nella quale descrivendo l’immagine da lui dipinta ribadì alcuni assunti della sua poetica, lasciando spazio anche alle riflessioni spirituali. “Non mi è piaciuto – scrisse Carena – e non ho voluto realizzare il mio ‘Gesù lavoratore’ in azione, l’ho pensato invece verso sera a conclusione della sua quotidiana fatica raccolto nella meditazione, calmo, sereno se anche una mestizia invade il suo animo e ne rattrista il volto [...]. Forse è inutile descrivere un quadro [...], il quadro deve parlare da se stesso se intensamente e pienamente realizzato, e certo sarà puntualmente compreso se l’osservatore saprà con un atto di amore che è umiltà, mettersi nello stato d’animo dell’artista e cercare di entrare nel suo mondo. Nessuna cultura, nessuna soprastruttura filosofica e critica può avvicinare all’opera di un artista quanto l’amore [...], ho lavorato con amore, con umiltà, con chiarezza. Ho cercato di avvicinarmi all’immagine del divino lavoratore con tutta la mia anima di cattolico e di pittore italiano. Ho cercato di essere semplice, rifuggire da ogni rettorica, scarnire la figura nella sua essenzialità, nobilitarla, col gesto semplice e grandioso [...], serenamente preparato al grande sacrificio che l’attende. Ma tutto questo per essere vitale dovrebbe essere rivestito, nutrito di vera pittura, che non è certo mai riposta nell’abilità o novità del segno, né in una stolta astruseria, ma in una interiore ricchezza e in una pienezza di profonda umanità che si rivela attraverso una poeticità e splendore di luce, di quella luce che fa sacra anche la più umile terrena cosa. Non so se sono riuscito a tanto, sono vecchio ed ho dato tutta la mia vita per penetrare questo mistero dell’arte e soltanto ora dopo sì lunga fatica ed è tardi ormai, comprendo come sia tremendo realizzare e comunicare quanto si agita in noi ed è ragione qualvolta di gioia ma più spesso di indicibile strazio”. Il tema sacro trovò un’intensa corrispondenza nello spirito dell’anziano Carena. Nell’affrontare i soggetti religiosi con partecipazione accorata, quasi ascetica, la sua pittura divenne inquieta: le immagini si sfaldano progressivamente in una vibrante pasta pittorica dai toni accesi, infuocati, tanto da ricordare l’irruenza del Tintoretto; le pennellate diventano più che mai inquiete e concitate abbandonandosi alla corsività del segno e sfiorando in diversi casi esiti assimilabili a quelli de El Greco nonché effetti alla Kokoschka (che Carena aveva conosciuto alla Biennale di Venezia nel 1948, diventandone subito amico). Tutto ciò è evidente nel Gesù lavoratore, dove il drammatico pennelleggiare che “incendia” gli effetti luministici con l’ampio uso della gamma dei rossi e inacidisce espressionisticamente alcuni colori – com’è evidente nei toni lividi del volto di Cristo – esprimono il travaglio interiore vissuto dall’artista nell’incessante ricerca spirituale. Per certi versi la maniera di Carena è paragonabile a quella dei manieristi, come El Greco per l’appunto, che avevano interpretato in chiave di inquietudine psicologica il linguaggio classicistico. All’inizio degli anni Cinquanta, Carena definì la sua posizione estetica “realismo poetico”, in quanto, pur restando ancorato alla definizione naturalistica dei soggetti e alle iconografie tradizionali, sovente con richiami alla pittura rinascimentale in special modo nei soggetti sacri, intensificò la carica espressionista del colore adottando una stesura libera e compendiaria, che lo portò a scarnificare le figure in una tragica, mistica deformazione. Carena era entrato in contatto con le associazioni fondate da don Giovanni verso la metà degli anni Venti, tant’è che nel 1926 comparve sulle pagine de “La Festa” (numero del 13 giugno) un articolo dedicato alle sue opere d’arte sacra. In seguito, nel 1942, la Pro Civitate lo coinvolse nelle prime commissioni d’arte su temi cristologici e gli richiese la Pietà, oggi nella collezione di Villa Clerici a Milano. Fonti e bibliografia: Pro Civitate Christiana, Archivio Artisti, b. Carteggio Carena Felice, lettera del luglio 1953; Carena 1953, p. 12; Donati 1953, pp. 12-13; Artisti contemporanei: Felice Carena 1959, p. 271; Catalogo Galleria 1964, n. 94. [F.S.]
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